Molti studiosi e testimoni del fenomeno "scie chimiche" hanno constatato che le attività di aerosol clandestino si intensificano in concomitanza con il plenilunio. Nonostante sia forse poco corretto individuare dei periodi in cui le irrorazioni diventano più frequenti, poiché, semmai, ci si potrebbe riferire a rari giorni in cui i voli si diradano un po', è vero che si assiste ad un incremento nel numero delle scie, soprattutto notturne, durante la luna piena.
Visto che, come è ormai arcinoto, le chemtrails sono un'operazione criminale a 360 gradi, è evidente che ogni programma riferito ad esse, rivela intenti distruttivi. Questo vale naturalmente anche per le scie che offuscano la luce lunare.
Due scienziati statunitensi dell'Università di Yale, già negli anni ‘60 del XX secolo, i professori Leonard Ravitz e Richard Barr, individuarono una correlazione tra il plenilunio e la crescita dei vegetali. Ravitz e Barr sono gli studiosi del fenomeno che va sotto il nome di bioelettricità (cioè elettricità biologica), manifestazione costituita dagli impulsi emessi da tutti gli esseri viventi: dai batteri alle piante, dagli animali agli uomini. Questi impulsi hanno un ruolo importantissimo nei processi organici.[1] I due esperti misurarono la bioelettricità nelle piante, servendosi di apparecchiature capaci di rilevare anche le più deboli variazioni. Essi notarono che, ogni quattro settimane, la tensione bioelettrica aumentava: appunto durante il plenilunio! E' dunque la luce riflessa del satellite a provocare questo fenomeno e ad influire, di conseguenza, sulla crescita dei vegetali. La luna piena favorisce pure la germinazione delle sementi.[2]
Da quanto assodato dai due studiosi, si evince che le operazioni chimico-biologiche sono una vera e propria aggressione nei confronti dell'agricoltura, già prostrata dai cambiamenti climatici di origine artificiale, dal depauperamento dei terreni, dalla sempre maggiore diffusione delle colture geneticamente modificate, dall'aggressione di virus e batteri etc. Controllare l'agricoltura significa controllare la produzione di cibo e quindi tenere in pugno l'umanità.
[1] La bioelettricità o elettricità animale fu scoperta da Luigi Galvani (Bologna 1737 -1798) fisiologo, fisico ed anatomista italiano, ricordato, assieme al suo contemporaneo, Alessandro Volta, per gli studi pionieristici sull'elettricità. La bioelettricità è l’insieme dei fenomeni elettrici che si producono nella materia vivente e che sono riconducibili a differenze di potenziale tra l'interno e l'esterno della cellula oppure tra interi distretti organici quali i muscoli, il cuore, l'encefalo, le pareti assorbenti dell'intestino, l'apparato tubulare del rene, le formazioni nervose centrali e periferiche etc. I fenomeni bioelettrici sono particolarmente appariscenti in alcune specie di Pesci nei quali sono presenti organi capaci di generare campi elettrici di notevole potenziale.
[2] Tralasciamo qui molti altri aspetti, anche non convenzionali, che legano la Luna ai bioritmi ed alla vita sulla Terra.
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mercoledì 22 dicembre 2010
Biocarburanti vs. bioelettricità, quale dei due è più efficiente?
L’impronta sull’acqua della bioenergia, cioè la quantità di acqua necessaria per coltivare le colture per la biomassa, è di gran lunga maggiore rispetto alle altre forme di energia. La generazione di bioelettricità è molto più efficiente, in termini di consumo di acqua, rispetto alla produzione di biocarburanti. Stabilendo l’utilizzo dell’acqua su tredici colture, i ricercatori dell’Università di Twente, Olanda, sono stati in grado di scegliere quale coltura fosse migliore in una determinata regione e quale no. Il loro lavoro è stato pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS).
Nel loro articolo, i ricercatori mostrano l’utilizzo dell’acqua in tredici colture, considerando il volume d’acqua (piovana e di irrigazione) richiesto per la produzione di energia. Per quanto riguarda le varie applicazioni della biomassa, i ricercatori hanno tenuto presente l’impatto che la coltivazione delle colture ha sul consumo di acqua. Lo hanno poi collegato alla posizione e al clima per vedere se è possibile selezionare la regione di produzione ottimale per ogni raccolto. Questo serve per impedire la coltivazione di biomassa dove potrebbe compromettere la produzione alimentare nelle regioni dove l’acqua è già scarsa.
Fino ad ora, la discussione si è incentrata principalmente sulla questione se fosse consentito utilizzare le colture alimentari per il carburante. Ma alla base di questa questione c’è da capire come si debbano distribuire le nostre limitate riserve di acqua dolce. L’acqua che viene utilizzata per la bioenergia, sia che si tratti di un prodotto alimentare come la coltura di mais, che di colture non alimentari, come la jatropha, non può essere utilizzata per la produzione alimentare, per l’acqua potabile o per il mantenimento degli ecosistemi naturali.
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Nel loro articolo, i ricercatori mostrano l’utilizzo dell’acqua in tredici colture, considerando il volume d’acqua (piovana e di irrigazione) richiesto per la produzione di energia. Per quanto riguarda le varie applicazioni della biomassa, i ricercatori hanno tenuto presente l’impatto che la coltivazione delle colture ha sul consumo di acqua. Lo hanno poi collegato alla posizione e al clima per vedere se è possibile selezionare la regione di produzione ottimale per ogni raccolto. Questo serve per impedire la coltivazione di biomassa dove potrebbe compromettere la produzione alimentare nelle regioni dove l’acqua è già scarsa.
Fino ad ora, la discussione si è incentrata principalmente sulla questione se fosse consentito utilizzare le colture alimentari per il carburante. Ma alla base di questa questione c’è da capire come si debbano distribuire le nostre limitate riserve di acqua dolce. L’acqua che viene utilizzata per la bioenergia, sia che si tratti di un prodotto alimentare come la coltura di mais, che di colture non alimentari, come la jatropha, non può essere utilizzata per la produzione alimentare, per l’acqua potabile o per il mantenimento degli ecosistemi naturali.
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Bioelettricità «verde» prodotta dall’alga
Una quantità infinitesima, ma è stato messo a punto un metodo che potrebbe avere interessanti sviluppi
PRIMI PASSI - «Siamo i primi a estrarre elettroni dalle cellule vegetali viventi», dice Won Hyoung Ryu, a capo della ricerca pubblicata sulla rivista Nano Letters. Gli scienziati hanno costruito un piccolissimo e appuntito nano elettrodo d'oro, appositamente progettato per essere introdotto all'interno delle cellule. Quindi lo hanno delicatamente spinto attraverso la membrana di una cellula algale di Chlamydomonas. È questo piccolo elettrodo lo strumento per catturare gli elettroni che la luce ha stimolato. Le piante infatti, attraverso organuli specifici contenuti nelle cellule, i cloroplasti, con la fotosintesi convertono l'energia luminosa in energia chimica immagazzinandola negli zuccheri. La luce penetra negli organuli e fa «saltare» gli elettroni a un livello energetico più elevato. Gli scienziati di Stanford hanno «intercettato» questi elettroni proprio dopo che sono stati eccitati dalla luce, quindi nel momento in cui possedevano la loro massima energia. E attraverso il piccolissimo elettrodo d'oro infilato nel cloroplasto li hanno dirottati fuori dalla cellula per generare una minuscola corrente elettrica.
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un nanoElettrodo d'oro nella cellula
Bioelettricità «verde» prodotta dall’alga
Una quantità infinitesima, ma è stato messo a punto un metodo che potrebbe avere interessanti sviluppi
Immaginate che un giorno le foglie possano produrre energia elettrica per le nostre necessità. Immaginate che gli elettroni che circolano nelle loro cellule, attivati dalla luce solare, non servano solo a produrre zucchero, come di fatto accade, ma che una parte di essi venga dirottata e incanalata in un filo per accendere ad esempio una lampadina. Siamo ancora lontanissimi da tutto questo. Però gli scienziati dell'Università di Stanford (Usa), per la prima volta sono riusciti a «rubare» corrente da un'alga. Una quantità infinitesima, e vero, ma hanno messo a punto un metodo che potrebbe avere interessanti sviluppi. Può essere il primo passo verso la produzione di bioelettricità ad alto rendimento. PRIMI PASSI - «Siamo i primi a estrarre elettroni dalle cellule vegetali viventi», dice Won Hyoung Ryu, a capo della ricerca pubblicata sulla rivista Nano Letters. Gli scienziati hanno costruito un piccolissimo e appuntito nano elettrodo d'oro, appositamente progettato per essere introdotto all'interno delle cellule. Quindi lo hanno delicatamente spinto attraverso la membrana di una cellula algale di Chlamydomonas. È questo piccolo elettrodo lo strumento per catturare gli elettroni che la luce ha stimolato. Le piante infatti, attraverso organuli specifici contenuti nelle cellule, i cloroplasti, con la fotosintesi convertono l'energia luminosa in energia chimica immagazzinandola negli zuccheri. La luce penetra negli organuli e fa «saltare» gli elettroni a un livello energetico più elevato. Gli scienziati di Stanford hanno «intercettato» questi elettroni proprio dopo che sono stati eccitati dalla luce, quindi nel momento in cui possedevano la loro massima energia. E attraverso il piccolissimo elettrodo d'oro infilato nel cloroplasto li hanno dirottati fuori dalla cellula per generare una minuscola corrente elettrica.
RISULTATO - «Il risultato è la produzione di energia senza rilascio di carbonio in atmosfera. Questa è una delle fonti più pulite per produrla», afferma Ryu. Ora la domanda è se questa metodologia sia economicamente conveniente. «Siamo in grado di estrarre da ogni cellula un solo picoampere», continua, «una quantità così piccola che servirebbe un trilione di cellule che funzionassero per un'ora per produrre una quantità di energia pari a quella immagazzinata in una batteria alcalina. Inoltre le cellule muoiono dopo un'ora. I prossimi passi potrebbero essere quelli di ottimizzare il design dell'elettrodo per allungare la vita delle cellule e di utilizzare piante con cloroplasti più grandi per poter catturare più elettroni».
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